Circolare n.14/2010

OGGETTO: d.lgs. n. 150 del 2009 – disciplina in tema di infrazioni e sanzioni disciplinari e procedimento disciplinare – problematiche applicative.

Come noto, con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sono state apportate importanti innovazioni in tema di infrazioni, sanzioni disciplinari, procedimento disciplinare e rapporti con il procedimento penale. In particolare, l’art. 69 del citato decreto ha sostituito l’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001 ed ha introdotto gli artt. da 55 bis a 55 novies nel corpo del medesimo testo normativo, mentre l’art. 72 ne ha abrogato l’art. 56.

Le nuove norme hanno carattere generale; la loro applicazione, infatti, riguarda tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, come chiarito dall’art. 74, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, secondo cui: “Gli articoli (…) 69 (…) rientrano nella potestà legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere l) ed m), della Costituzione.” e dall’art. 55, comma 1, del citato d.lgs. n. 165, il quale prevede che “Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti fino all’art. 55 octies (…) si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2.”. La nuova disciplina riguarda solo il personale rientrante nel campo di applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, ossia il personale dipendente c.d. “privatizzato” e soggetto alla disciplina dei contratti collettivi di comparto; rimane pertanto invariato il regime della responsabilità, del procedimento e delle sanzioni disciplinari per il personale ad ordinamento pubblicistico, di cui all’art. 3 del medesimo decreto.

Sempre il citato art. 55, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce poi che le disposizioni di cui agli artt. da 55 a 55 octies costituiscono norme imperative ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c.. Ciò significa, in primo luogo, che tali disposizioni non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva, la quale può disciplinare la materia nei limiti di quanto consentito dalla legge e negli ambiti non riservati alla legge stessa (infrazioni e sanzioni, per quanto non previsto nelle disposizioni in esame, procedure di conciliazione non obbligatoria, procedimento per l’irrogazione delle sanzioni ai dirigenti nei casi di cui agli artt. 55 bis, comma 7, e 55 sexies, comma 3, sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente incolpato, altri aspetti relativi al rapporto di lavoro inerenti la materia). Inoltre, la disciplina legale prevale sulla disciplina sostanziale contenuta nei contratti collettivi, compresa quella dei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della riforma (15 novembre 2009) e, in presenza di clausole contrattuali difformi, si verifica la sostituzione della clausola nulla con integrazione del suo contenuto ad opera della fonte di legge. Questo meccanismo di sostituzione ha carattere automatico e, pertanto, produce i suoi effetti già a livello di applicazione della norma da parte dell’operatore, senza la necessità di un accertamento preventivo della nullità della clausola da parte del giudice.

Con la presente circolare si intende fornire dei chiarimenti su alcuni aspetti problematici di interpretazione o applicazione della disciplina, in considerazione dei quesiti sottoposti al Dipartimento della funzione pubblica.

  1. La pubblicità del codice disciplinare.

L’art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 impone ai datori di lavoro di portare “a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti” il codice disciplinare, cioè l’insieme delle norme, in particolare di derivazione contrattuale, “relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse”. L’articolo non è stato direttamente richiamato nel corpo delle norme che dopo la riforma disciplinano la materia delle infrazioni e sanzioni disciplinari, ma la sua portata deve intendersi comunque estesa anche ai datori pubbliche amministrazioni, sia perché la regola della previa pubblicazione è contenuta nei contratti collettivi di comparto sia perché il comma 2 dell’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, come di seguito si vedrà, prevede una norma sulle modalità di pubblicazione che sottende la vigenza dell’obbligo di pubblicità.

L’adempimento – la ratio della cui obbligatorietà è da ricercare nella necessità che sia assicurata a tutti lavoratori la conoscenza del sistema delle regole dell’organizzazione di appartenenza affinché abbiano consapevolezza della responsabilità perseguibile sul piano disciplinare per le eventuali violazioni – per costante e consolidata giurisprudenza, è imprescindibile e propedeutico ai fini della corretta attivazione dei procedimenti disciplinari e dell’irrogazione delle sanzioni.

Come accennato, l’obbligo di pubblicazione del codice disciplinare è stato sancito – sulla base del richiamo all’art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 contenuto nel precedente art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001 – dalla contrattazione collettiva del settore pubblico: tra gli altri, lo prevede l’art. 13, comma 8, del CCNL 12 giugno 2003 del comparto ministeri; l’art. 16, comma 10, del CCNL 9 ottobre 2003 del comparto enti pubblici non economici; l’art. 64, comma 8, del CCNL 17 maggio 2004 del comparto Presidenza del Consiglio dei ministri; l’art. 3, comma 10, del CCNL 11 aprile 2008 del comparto regioni-autonomie locali.

Le richiamate clausole contrattuali hanno disposto la tassatività e non fungibilità con altre forme della pubblicità realizzata tramite affissione. Pertanto, le amministrazioni – datori di lavoro hanno, sino ad ora, assolto l’obbligo tramite affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti.

Il d.lgs. n. 150 del 2009 è, tuttavia, intervenuto in materia, modificando l’art. 55 del decreto legislativo n. 165 del 2001. In particolare, il comma 2 del nuovo art. 55, come sostituito dall’art. 68 del d.lgs. n. 150 del 2009, prevede che “La pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione del codice disciplinare, recante l’indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all’ingresso della sede di lavoro”.

Le nuove disposizioni “costituiscono norme imperative ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile…”. Come detto nel paragrafo precedente, ciò comporta l’automatico inserimento nei contratti collettivi di tali disposizioni e la conseguente sostituzione delle clausole difformi. Peraltro, i CCNL stipulati dopo l’entrata in vigore della riforma hanno recepito il nuovo principio, modificando la pregressa disciplina e prevedendo che la pubblicazione avvenga mediante il sito istituzionale dell’amministrazione (es., art. 8 del CCNL 4 agosto 2010 per l’Unioncamere; art. 9 del CCNL 12 febbraio 2010 dell’area I della dirigenza; art. 7 del CCNL 22 febbraio 2010 per l’area II della dirigenza).

Ai sensi della nuova norma, pertanto, le amministrazioni possono assolvere all’obbligo di pubblicità del codice disciplinare mediante la pubblicazione sul sito internet istituzionale. Nella valutazione operata dal legislatore, che tiene conto della più recente evoluzione tecnologica delle modalità di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, tale pubblicazione è equivalente all’“affissione in luogo accessibile a tutti” di cui al citato art. 7, luogo che viene identificato dal menzionato art. 55 comma 2 nell’ “ingresso della sede di lavoro”.

Le amministrazioni potranno completamente sostituire la pubblicità tramite affissione con la pubblicazione on line solo qualora l’accesso alla rete internet sia consentito a tutti i lavoratori, tramite la propria postazione informatica; infatti, deve  essere tenuto presente che la pubblicazione risponde all’esigenza di porre il dipendente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze.

Al riguardo, si raccomanda che il codice disciplinare venga pubblicato con adeguato risalto e indicazione puntuale della data, oltre che sull’home page internet anche di quella intranet dell’amministrazione, solitamente utilizzata per le comunicazioni interne del datore di lavoro, al fine di assicurarne la massima visibilità e conoscibilità. Si raccomanda inoltre alle amministrazioni di precostituire una prova dell’avvenuta pubblicazione, al fine di poter sviluppare la difesa nell’ambito di un eventuale contenzioso, chiedendo alla struttura interna competente alla pubblicazione di comunicare formalmente l’avvenuto adempimento. Si segnala infine che, a seguito della riforma, la modalità alternativa alla pubblicazione sul sito è solo quella dell’affissione all’ingresso della sede di lavoro poiché solo questo luogo particolare è espressamente considerato dalla norma vigente.

Quanto ai contenuti della pubblicazione, si evidenzia che il codice disciplinare oggetto di pubblicità deve contenere sia le procedure previste per l’applicazione delle sanzioni sia le tipologie di infrazione e le relative sanzioni. La pubblicità deve poi riguardare anche il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, attesa l’idoneità delle sue regole ad integrare le norme contenenti le fattispecie di illecito disciplinare previste dai contratti collettivi e dalla legge.

  1. La titolarità dell’azione disciplinare:
  2. a) il rafforzamento della competenza del dirigente;

La riforma ha voluto, in generale, valorizzare il ruolo del dirigente sottolineando i suoi poteri, tra cui anche quelli di valutazione, riconoscimento dei meriti e comminazione di sanzioni nei confronti del personale. In questo contesto,  l’art. 55 bis ha ampliato la competenza del dirigente della struttura in cui il dipendente lavora nella gestione del procedimento disciplinare, attribuendogliene la titolarità in riferimento ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del rimprovero verbale e della censura, uniche situazioni in cui l’azione poteva essere esercitata da questo soggetto in base all’abrogato art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001. In particolare, dal comma 1 dell’art. 55 bis, risulta che quando il responsabile della struttura è un dirigente questi potrà procedere alla contestazione dell’addebito e all’irrogazione della sanzione, previo espletamento del relativo procedimento, per tutte le infrazioni “di minor gravità “. Secondo la norma, rientrano nelle infrazioni di minor gravità quelle per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a dieci giorni. Per le infrazioni di maggior gravità o nel caso in cui il responsabile della struttura non sia un dirigente, l’intera procedura deve essere svolta dall’ufficio procedimenti disciplinari. Rimane salva la competenza del responsabile della struttura, a prescindere dalla circostanza che si tratti di dirigente o non dirigente, di irrogare il rimprovero verbale, sanzione che, secondo il comma 1 dell’art. 55 bis in esame è  soggetta alla disciplina della contrattazione collettiva, che prevede l’irrigazione senza particolari formalità.

E’ opportuno chiarire che con l’espressione in “possesso della qualifica di dirigente” la norma fa riferimento non solo ai dipendenti reclutati ed inquadrati come dirigenti a tempo indeterminato, ma anche ai titolari di incarico dirigenziale con contratto a tempo determinato, con inclusione quindi dei soggetti preposti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 e ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000 per gli enti locali o di analoghe norme previste negli ordinamenti delle altre amministrazioni.

Per gli enti locali privi di qualifica dirigenziale, in linea con l’orientamento espresso dall’ANCI nelle prime linee guida relative all’applicazione del d.lgs. n. 150 del 2009, la competenza non sussiste invece in capo al dipendente titolare di posizione organizzativa cui siano state attribuite le funzioni dirigenziali ai sensi dell’art. 109, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000, poiché trattasi di soggetti non muniti di qualifica dirigenziale.

Si evidenzia l’importanza dell’osservanza della previsione normativa per le conseguenze che derivano dalla violazione della regola rispetto alla sanzione comminata. Infatti, la violazione di una norma di legge imperativa comporta la nullità della sanzione irrogata, come riconosciuto anche recentemente dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, Sezione lavoro (“E’ nulla, perché in contrasto con norme di legge inderogabili sulla competenza, la sanzione disciplinare irrogata in esito a procedimento disciplinare instaurato da soggetto od organo diverso dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” Cass., Sez. lav., 5 febbraio 2004, n. 2168; Cassazione civile, Sez. lav., 30 settembre 2009, n. 20981).

  1. b) l’ufficio procedimenti disciplinari.

L’art. 55, al comma 4, stabilisce che “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari“. La disposizione non ha portata innovativa rispetto al testo previgente; infatti, già l’art. 59 del d.lgs. n. 29 del 1993 aveva previsto l’individuazione di una competenza ad hoc per la gestione del procedimento disciplinare (U.P.D.). L’individuazione è rimessa alla discrezionalità organizzativa di ogni amministrazione e non è richiesta la costituzione di un apposito ufficio; infatti, la competenza si può svolgere anche nell’ambito di una struttura deputata a più ampie attribuzioni, ma si tratta comunque di una competenza da esercitare in via esclusiva.

La competenza del procedimento disciplinare spetta all’U.P.D. per le ipotesi in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale e, comunque, per le infrazioni di maggior gravità. Non è specificato in questo caso se il responsabile dell’U.P.D. debba essere dirigente. E’ chiaro che per le Amministrazioni dello Stato questa rappresenta la regola generale, mentre per gli enti locali privi della qualifica dirigenziale, frequentemente si presenta il caso di investitura di funzionari. In proposito, poiché il comma 4 del menzionato art. 55 bis per la costituzione degli U.P.D. fa rinvio al “proprio ordinamento“, negli enti locali privi di qualifica dirigenziale la responsabilità dell’ufficio può essere attribuita anche ai funzionari a cui sono assegnate le funzioni dirigenziali ai sensi del citato art. 109, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000. Nell’ottica della riforma, la particolare professionalità radica la competenza funzionale del servizio, supplendo anche alla mancanza della qualifica  (in riferimento al regime previgente la riforma e alle competenze dell’U.P.D. la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che “alcuna norma prevede che dell’Ufficio procedimenti disciplinari debbano far parte dipendenti con qualifica almeno pari a quella degli incolpati, né esiste un principio secondo il quale soltanto siffatta composizione sarebbe idonea ad attuare il principio di imparzialità dell’amministrazione“, Cass., Sez. lav., n. 10600 del 3 giugno 2004). Alternativamente, la scelta dell’ente locale potrebbe ricadere sull’attribuzione delle funzioni in questione al segretario comunale, opportunamente investito ai sensi dell’art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo decreto ovvero sulla costituzione di un U.P.D. in convenzione con altri enti, ai sensi dell’art. 30, comma 4, del testo unico.

Si rileva che la disposizione in esame, a differenza della norma contenuta nel comma 4 dell’abrogato art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, non prevede più espressamente che l’ufficio competente dia avvio al procedimento a seguito della “segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora“, essendo stato eliminato questo inciso. Con la riforma risulta chiaro che l’ufficio si attiva non solo nei casi in cui pervenga tale segnalazione, ma anche nelle ipotesi in cui lo stesso abbia altrimenti acquisito notizia dell’infrazione. Ciò si evince dalla seconda parte del medesimo comma, in cui si ancora la decorrenza del termine per la contestazione dell’addebito dalla ricezione degli atti o dall’acquisizione aliunde della notizia dell’infrazione.

Una volta investito correttamente della procedura da parte del dirigente, l’U.P.D. sarà tenuto a svolgere il procedimento sulla base dell’istruttoria; l’esito dello stesso potrà portare o all’archiviazione o all’irrogazione della sanzione appropriata, che potrà consistere anche in una sanzione di minore gravità (ossia inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione sino a dieci giorni), benché in astratto questa rientri nella competenza del dirigente rimettente.

  1. L’irrogazione delle sanzioni disciplinari nei confronti dei dirigenti, con particolare riferimento agli illeciti della mancata collaborazione con l’autorità disciplinare procedente e del mancato esercizio o della decadenza dall’azione disciplinare.

L’art. 55 comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che: “Fermo quanto previsto nell’articolo 21, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3.”.

La disposizione contiene una norma speciale relativa a specifiche infrazioni ascrivibili ai dirigenti, ponendo una deroga al regime ordinario sulla competenza per l’irrogazione delle relative sanzioni. Gli illeciti sono quelli previsti dall’art. 55 bis, comma 7, e dall’art. 55 sexies, comma 3, e, cioè, l’ipotesi di mancata collaborazione con l’autorità disciplinare procedente e l’ipotesi del mancato esercizio o della decadenza dall’azione disciplinare. Si tratta di illeciti riferiti specificamente allo svolgimento del procedimento disciplinare, che sono stati introdotti dalla riforma con l’obiettivo di assicurare l’effettivo esercizio dell’azione e contrastare situazioni di collusione. La prima fattispecie, quella della mancata collaborazione con l’autorità disciplinare procedente, è riferita sia ai dirigenti sia ai dipendenti non dirigenti; la seconda, quella del mancato esercizio o della decadenza dall’azione disciplinare, è un illecito proprio del responsabile della struttura di appartenenza del dipendente incolpato o dell’U.P.D., sia esso dirigente o non dirigente.

Per queste infrazioni, la norma in esame stabilisce che, se l’incolpato è un dirigente, si applica la procedura di cui al comma 4 dell’art. 55 bis, il quale prevede la contestazione dell’addebito e lo svolgimento della procedura da parte dell’U.P.D., la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, e la possibilità di raddoppio dei termini per le infrazioni di maggior gravità (tra le quali rientrano anche quelle in esame in quanto per entrambe le fattispecie è prevista in astratto la possibilità di comminare la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un periodo superiore a dieci giorni).

Secondo quanto previsto dalla medesima disposizione, i contratti collettivi di riferimento possono disciplinare in maniera diversa rispetto alla fonte legale le norme procedimentali contenute nel citato comma 4 dell’art. 55 bis. Si precisa che la deroga in favore della contrattazione collettiva non può però riguardare la materia dell’organo competente all’avvio del procedimento, allo svolgimento della procedura e all’irrogazione della sanzione, poiché trattasi di aspetti legati all’investitura di un organo, ossia all’attribuzione di una competenza, i quali, in base ai principi costituzionali, debbono essere necessariamente disciplinati da fonti normative. Al riguardo, l’art. 55, comma 4, individua una specifica competenza per l’irrogazione della sanzione nel caso in cui l’incolpato sia un dirigente: questa spetta al dirigente di ufficio dirigenziale generale o al titolare dell’incarico ai sensi dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001. Pertanto, per queste specifiche infrazioni la competenza dell’U.P.D. è diversa a seconda che il dipendente soggetto passivo della procedura sia un impiegato o un dirigente. Infatti, nel primo caso all’ufficio spetta l’intera gestione del procedimento, dalla fase della contestazione a quella dell’irrogazione della sanzione, mentre nel secondo, la competenza si arresta all’istruttoria e le determinazioni conclusive del procedimento sono rimesse al dirigente di ufficio dirigenziale generale (se il procedimento riguarda un dirigente di ufficio non generale) e al dirigente sovraordinato, come il capo Dipartimento o il Segretario generale (se il procedimento riguarda un dirigente di ufficio dirigenziale generale). L’espressione utilizzata dalla legge “dirigente generale” va intesa come riferimento alla tipologia di ufficio cui il dirigente è preposto e prescinde dalla circostanza che il dirigente incaricato appartenga alla prima o alla seconda fascia; infatti, in questo contesto, non pare avere alcun rilievo la circostanza soggettiva di essere iscritto alla prima o alla seconda fascia del ruolo dirigenziale.

La norma non chiarisce se il dirigente sovraordinato debba essere il responsabile dell’ufficio dirigenziale generale nell’ambito del quale è collocato l’ufficio dell’incolpato o il dirigente dell’ufficio dirigenziale generale nel cui ambito è compreso l’U.P.D. La soluzione interpretativa più corretta sembra la seconda. Infatti, tale soluzione consente meglio di soddisfare l’esigenza di terzietà e di uniformità  dell’organo in fattispecie di illecito particolarmente delicate, come quelle in esame, che attengono alla corretta incardinazione e svolgimento del procedimento disciplinare. Inoltre, la determinazione di conclusione del procedimento può comportare l’esercizio di una discrezionalità più o meno ampia, ma tale discrezionalità può basarsi solo sulle risultanze dell’istruttoria compiuta dall’U.P.D. a seguito della contestazione, con la conseguenza che il ritenere al contrario la competenza in capo al dirigente dell’ufficio nel cui ambito svolge la propria attività l’incolpato sarebbe comunque irrilevante rispetto alla determinazione conclusiva del procedimento.

Stante il silenzio della legge sul punto, è rimesso all’autonomia organizzativa di ciascuna amministrazione l’individuazione della struttura e dell’organo competente a svolgere il procedimento ed eventualmente ad irrogare le sanzioni nel caso in cui  l’illecito sia commesso proprio dal responsabile dell’U.P.D., dal dirigente dell’ufficio dirigenziale generale sovraordinato e dai dirigenti titolari di incarico di struttura complessa, ferma restando la necessità che l’individuazione sia effettuata a priori in astratto.

La formulazione della disposizione è chiaramente riferita alle Amministrazioni dello Stato, che sono tipicamente articolate in uffici dirigenziali semplici e generali sovraordinati e nelle quali è presente la figura del Capo Dipartimento o del Segretario generale. L’applicazione della norma nelle altre amministrazioni necessita invece di un adattamento attraverso l’esercizio dei poteri normativi ed organizzativi tipici di ciascun ordinamento e le soluzioni sostanziali dovranno essere rinvenute nell’ambito della particolare organizzazione di ciascun ente. Negli enti locali l’attribuzione delle funzioni in questione potrebbe essere compiuta in favore del segretario comunale o provinciale, opportunamente investito ai sensi dell’art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo decreto.

Come detto, la competenza di cui al comma 4 dell’art. 55 ha carattere speciale. Pertanto, per tutte le altre ipotesi di illecito rimane ferma la disciplina generale sulla competenza alla contestazione dell’addebito, allo svolgimento del procedimento e all’irrogazione della sanzione di cui al menzionato art. 55 bis anche nel caso in cui l’incolpato sia un dirigente. Da ciò deriva che, nel caso di infrazioni di minor gravità, la procedura sarà svolta dal responsabile dell’ufficio sovraordinato. Nelle altre ipotesi, la competenza alla procedura spetta all’U.P.D., struttura che è titolare di una “competenza funzionale” ed il cui responsabile pertanto si deve ritenere legittimato ad adottare la determinazione conclusiva del procedimento disciplinare anche nei confronti di un dirigente con incarico di livello superiore (sul punto è opportuno richiamare l’orientamento manifestato dalla Corte di cassazione nella già citata sentenza n. 10600 del 3 giugno 2004). Stante il silenzio della legge in merito, è rimesso ancora una volta all’autonomia organizzativa di ciascuna amministrazione l’individuazione dell’organo responsabile dell’istruttoria e dell’organo competente all’irrogazione della sanzione nel caso in cui l’illecito sia commesso proprio dal responsabile dell’U.P.D.

In sintesi, tenuto conto dell’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quadro generale risultante é il seguente:

  • fatti per i quali è prevista la sanzione pecuniaria (la sanzione sospensiva, per i dirigenti, è sempre potenzialmente superiore a dieci giorni): contesta e applica la sanzione il dirigente capo della struttura;
  • fatti colpiti con sanzioni più gravi di quelle pecuniarie, eccezion fatta per quelli indicati nel punto seguente: contesta e applica la sanzione l’U.P.D.;
  • per le sole infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55 bis, comma 7, e 55 sexies, comma 3, si applica il comma 4 del predetto articolo 55 bis,con contestazione dell’addebito ed istruttoria dell’U.P.D., ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente con incarico dirigenziale generale della struttura sovraordinata all’U.P.D..
  1. La ripresa e la riapertura del procedimento disciplinare a seguito della comunicazione della sentenza di condanna del dipendente.

Come noto, con il d.lgs. n. 150 del 2009 è stato modificato il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale. Infatti, l’art. 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001 ha introdotto la regola generale secondo cui il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza di procedimento penale. Questa regola è inderogabile nel caso di esercizio dell’azione disciplinare per infrazioni di minor gravità e, pertanto, in tali ipotesi non è ammessa la sospensione del procedimento. La sospensione è invece ammessa per le infrazioni di maggior gravità, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando, all’esito dell’istruttoria, non si disponga di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione. Secondo quanto previsto al comma 4 del medesimo articolo, il procedimento è ripreso entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore ed è concluso entro 180 giorni dalla ripresa.

Al fine di rendere nota all’amministrazione procedente la pronuncia della decisione giudiziale, l’art. 70 del d.lgs. n. 150 del 2009 ha inserito un nuovo articolo nel d.lgs. n. 271 del 1989 (“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.”). Infatti, il nuovo art. 154 ter dispone che “La cancelleria del giudice che ha pronunciato sentenza penale nei confronti di un lavoratore dipendente di un’amministrazione pubblica ne comunica il dispositivo all’amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con modalità telematiche, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito.”. E’ chiaro che la ripresa del procedimento disciplinare sospeso può aver luogo solo a seguito della conoscenza della sentenza integrale, comprensiva della motivazione, poiché l’istruttoria deve tener conto di quanto risultante in sede penale (art. 653 c.p.p., richiamato dal comma 4 dell’art. 55 ter). Pertanto, il termine per la ripresa del procedimento decorre dalla ricevimento della comunicazione della sentenza integrale, non essendo sufficiente la conoscenza del dispositivo.

Ad analoga conclusione si vede prevenire per l’ipotesi della riapertura del procedimento prevista dal comma 3 del citato art. 55 ter nel caso in cui sia necessario adeguare le determinazioni conclusive del procedimento disciplinare alle risultanze del giudizio penale.

Al fine di agevolare l’esito celere delle procedure, si raccomanda pertanto all’Amministrazione giudiziaria di provvedere con la massima tempestività alla comunicazione del dispositivo a seguito della richiesta dell’amministrazione interessata e, ove disponibile, a trasmettere direttamente copia integrale della sentenza anziché il solo dispositivo anche a prescindere dalla richiesta.

IL MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

E L’INNOVAZIONE

Renato Brunetta